DILLER+SCOFIDIO_IL TEATRO DELLA DISSOLVENZA
Nel libro Diller+Scofidio Antonello Marotta analizza le
opere di Diller e Scofidio, soffermandosi in particolare sul rapporto tra la
loro attività e l’innovazione tecnologica, filo conduttore di tutti i volumi
della collana “IT Revolution in Architettura” diretta da Antonino Saggio, di
cui il libro fa parte.
Il libro propone un’ analisi del contesto storico, sociale e
culturale nell’America degli anni ’60, in cui i due architetti operano. Lo
studio si definisce “interdisciplinare”, anti-convenzionale, in cui convivono
differenti arti, l’architettura, lo spettacolo; essi stessi non si
identificano, ma affermano <<agli architetti diciamo di essere artisti e
agli artisti diciamo di essere architetti>>.
Tra i principali temi vi sono quelli della sicurezza e del
controllo, della quotidianità. Si soffermano in particolare sul passaggio dalla
società della macchina ad una società di informazione, che comporta nuove scoperte
in campo scientifico, volte alla costruzione di intelligenze artificiali, ma anche
ambiti come il cinema, il design.
Il campo del teatro è terreno di molte sperimentazion. Tra
le opere citate vi è The Rotary Notary
and His Hot Plate, in cui è tema centrale la creazione di una realtà virtuale,
e la confusione di essa con ciò che realmente lo spettatore osserva, e Moving Target, in cui compare forte
anche qui la presenza dello schermo.
Questa volontà di confondere ciò che è reale da ciò che è
finzione, fino quasi a non rendere più distinguibile l’uno e l’altro, è un filo
conduttore in molte installazione, come Tourisms:
suitCase Studios e Bad Press.
Altro tema delle installazioni di D+S, in particolare in Master/Slaves, è il rapporto tra informazione
e sfera privata, che diventa di dominio pubblico, a causa della continua
sorveglianza a cui l’individuo è sottoposto.
In ambito architettonico un’opera che chiarisce in parte il
pensiero di D+S è la Plywood (Kinney)
House, 1981. Si intuisce forte la rottura con il pensiero degli architetti americani,
come Venturi o Rowe. <<Questa casa indaga la vera natura della finestra,
non come un’apertura al mondo esterno, ma come un’apertura nel nostro nucleo
interno>> (Hejduck 84), rompendo definitivamente con l’idea del rapporto
costante tra interno ed esterno.
Il tema della casa viene
affrontato anche nel progetto della Slow
House, 1991. Questo progetto, in contrapposizione con la Farnswoth House di Mies, che mostrava il
concetto di “spazio organo”, rappresenta un manifesto dell’architettura dell’informazione.
Interventi architettonici di
particolare rilevanza sono inoltre la
Brasserie, ristorante collocato all’interno del Seagram Building di Mies, in cui viene affrontato il tema della
visione attraverso l’impiego di 15 monitor che mostrano ai clienti l’ambiente
esterno, il Waterfront, in cui si
affronta per la prima volta il tema dell’acqua, elemento naturale che meglio
esprime la rivoluzione digitale, e il museo Eyebeam,
dove la scelta è quella di creare, attraverso un nastro non chiuso, uno spazio
continuo; questo museo rappresenta una nuova frontiera di accessibilità e connessione.
Il pensiero di D+S culmina in un’opera
senza precedenti, il Blur, in cui l’edificio
diventa una macchina attiva, intelligente, dove l’acqua assume un ruolo
fondamentale. Nel Blur si ricerca un’interazione
fisica ed emotiva con il visitatore, attraverso il senso di stupore che i getti
d’acqua vaporizzata sulla pensilina evocano. La tecnologia agisce contro se
stessa, la struttura scompare, perde di significato, come afferma Marotta <<non
c’è niente da vedere, tranne la nostra dipendenza dalla visione stessa>> .
Nel libro sono ben analizzate le
opere, e viene trattato in maniera approfondita ed intelligente il rapporto tra
architettura ed informazione, anche con esempi esasperati, che invogliano il
lettore a scoprire e sperimentare questo strumento in ambiti architettonici ed
artistici molto vasti.
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